La tecnica del pregiudizio, tra goblin e baldracche.
Pregiudizio è un termine più noto per i suoi effetti che per il suo significato. Seppur si muova silenziosamente tra di noi, è in grado di modificare le nostre abitudini ed opinioni. Anche di molto.
Il pregiudizio è in sostanza un’opinione affrettata, una elaborazione prematura e vagamente inconsapevole su un qualcosa. Questo qualcosa può essere associato a tutto: razza, cibo, moda, abitudini igieniche, orientamento politico, cultura e così via. Ecco perché, in realtà, si insinua tra di noi sottilmente, assumendo dimensioni spropositate quando è condiviso da vasti gruppi di persone. Si moltiplica esponenzialmente fino a diventare come il plumcake di Egon Spengler (cit.).
Sfatiamo prima di tutto un pregiudizio sul pregiudizio: esso può essere sia positivo che negativo.
Di certo, quelli negativi sono maggiormente visibili. Quelli positivi, invece, passano spesso inosservati poiché di primo acchito potrebbero sembrare inoffensivi. Ma non lo sono e vedremo perché.
L’elemento basico del pregiudizio è la mancanza di sufficiente conoscenza.
Questa mancanza di informazioni genera in ognuno di noi un’elaborazione scorretta, incompleta e spesso basata solo sull’emerso.
Una somma di pregiudizi genera uno stereotipo.
Quest’ultimo è in grado di cementare nella nostra mente immagini distorte e grottesche, poichè il fattore estetico è importante nell’elaborazione di un pregiudizio e conseguente stereotipo.
L’Ebreo gobbo, con il naso adunco, vestito di nero con la kippah e ritratto nell’atto di sfregarsi le mani pronto per un nuovo avido affare, era la rappresentazione stereotipata con cui la propaganda nazista (e non solo) raffigurava gli appartenenti alla razza ebraica. Ma ce ne sono a bizzeffe, questo è solo un esempio molto noto ed alla portata di tutti.
Giusto per fare una interessante divagazione, vediamo come ancora al giorno d’oggi questo tipo pregiudizi siano così radicati da estendersi a veri propri modelli assoluti ed accettati.
In Harry Potter, piacevole fiaba per grandi e piccini, la razza dei Goblin, che si occupa delle faccende bancarie e finanziare, ha delle straordinarie somiglianze con lo stereotipo dell’ebreo. I Goblin della Rowling sono quindi piccoli, infimi, con nasi adunchi e tremendamente attaccati ai soldi. Ma essendo i migliori banchieri in circolazione sono fondamentali, seppur tutto indurrebbe a disprezzarli per il loro materialismo viscido ed interessato. La Rowling è una antisemita? Non penso sia questo il punto, ritengo più interessante che lei abbia utilizzato consapevolmente qualcosa che si trova nel nostro immaginario.
Cosa succede quindi? Accade che per diverse finalità più o meno dichiarate, un gruppo di appartenenza estrapola gli aspetti negativi, ridicoli e grotteschi di una cultura, ponendoli come tratti caratteristici dominanti. Se incontri qualcuno che puzza e porta la bombetta sarà inglese. Se un bianco è superdotato, avrà degli attributi africani. I cinesi ridono sempre. I giapponesi sono degli inguaribili maialoni molto formali. Gli italiani degli omini cicciotti, baffuti e un po’ cialtroni. I tedeschi sono tutti nazisti. Gli irlandesi sono degli ubriaconi.
Fermiamoci un attimo sugli irlandesi.
Sul sito dei Cavesi a Dublin, ieri, Bacco ha pubblicato un post decisamente interessante. Nel post in questione si sottolineava come esista un pregiudizio diffuso nei confronti delle donne irlandesi, additate come “puttane” dai nostri connazionali. Mi riferisco ai nostri connazionali in mancanza di altri dati.
La questione è che le donne irlandesi sono additate come puttane o baldracche per motivi che hanno, di certo, un vago fondamento. Questa idea diffusa deriva dal fatto che avventurandosi in Temple Bar un sabato sera qualsiasi, si potrà verificare la presenza di gruppi di donne visibilmente ubriache, vestite discutibilmente e con atteggiamenti sconvenienti. Questo, per molti, sembra abbastanza per classificare l’intero genere femminile irlandese.
Anche qui, l ‘estetica gioca un fattore fondamentale nell’elaborazione di questa idea. Se sono poco vestite e si comportano in maniera poco ortodossa, sono quindi delle puttane. Stesso discorso se incontrassi un uomo puzzolente e con la bombetta, sarà allora quasi sicuramente inglese o solo qualcuno che lo sta imitando. La mimica e l’estetica inducono quasi sempre a trarre conclusioni, spesso veritiere solo in apparenza(1).
Seppur sia scontato dire che esiste anche un’altra faccia di questa realtà, il pregiudizio rimane ed è decisamente radicato nei nostri connazionali. Ancor di più nei sindromati, che utilizzano e forgiano nuovi stereotipi basandosi su gli aspetti più ridicoli e sordidi della società e cultura irlandese.
I pregiudizi, che sono sempre divertenti da affibbiare agli altri, lo sono molto meno quando li si subisce. A nessun italiano piace essere additato come truffaldino, viscido, vanesio e un po mafioso. Solo allora ci si difende strenuamente tentando di dissuadere gli altri che alcuni nostri tratti distintivi non siano poi così radicati in tutti. Eppure anche i nostri hanno un fondamento di verità e che ancora resistono al passare del tempo. Ed è così che queste infami etichette permangono nel tempo. Sono quasi impossibili da erodere.
Per assurdo, anche i pregiudizi positivi sono in grado di generare deviazioni. Seppur siano meno comuni, sono spesso originati da strumentalizzazioni storiche, politiche e culturali. L’esempio più vivido per il mondo occidentale è l’apologia letteraria e cinematografica della cultura americana, con la conseguente la demonizzazione del comunismo e del nazismo. Questo basterebbe a farci diffididare del 98% delle persone che ci stanno affianco e che ci propinano schemi già confezionati. Sembra così che molti modelli che ci vengono proposti, anche quando apparentemente innocui, possono essere scorretti o incompleti.
Una delle funzioni del pregiudizio è di fungere da sistema di affrancatura e di ausilio alla veloce identificazione di un determinato gruppo o sistema di idee, permettendoci di sincerarci dietro un’idea aprioristica e condivisa. Minimo sforzo, massimo risultato.
La condivisione di questa idea, tanto cara ai sindromati, è l’altro punto di forza di questo processo. Tanto più il pregiudizio pone la nostra cultura su un piano superiore, tanto più velocemente si diffonderà.
Questo corollario permette a molti di noi di barricarsi dietro un sistema di pensiero pret-a-porter accogliente e rassicurante. Ci costruiamo così nuovi filtri, che ci permettono di decodificare rapidamente e superficialmente parte dell’indotto conoscitivo.
Tutto questo si è compenetrato in ogni cultura, surrogato dalla sua incredibile diffusione e dalla volontà di avere a disposizione un’opinione di rapido utilizzo e che mi identifichi anche in un gruppo di appartenenza. Per questo, paradossalmente si arrivano a sostenere idee che non si condividono, solo per la debolezza e insicurezza nelle proprie.
Si apre una ulteriore porta quando dalla stanza del pregiudizio si entra nella sala della suggestione. Ma questa è un’altra storia.
—–
(1) Esiste anche il fenomeno di auto identificazione nel proprio stereotipo, quasi a goderne dei sui lati più alti. Questo permette di fasi identificare facilmente agli altri. Se tutti giocano a quel gioco, quindi, seguendo le regole si rimane in ballo.