Microcosmi italiani: L’ambasciata.
La settimana scorsa mi sono dovuto recare in Ambasciata per questioni personali. Chiedo quindi un permesso alla mia azienda, affinché possa sbrigare le mie pratiche per poi tornare in ufficio in tempo. Qualche ora, insomma.
Acquisito il permesso, mi muovo verso il nostro avamposto in Irlanda.
Dopo oltre un anno e mezzo di Irlanda, l’occhio e la mente, muniti di nuovi filtri elaborano diversamente quello che ho davanti. Questa volta, ho veramente avuto l’impressione di entrare in un microcosmo, in cui alcuni aspetti del nostro paese vengono riprodotti fedelmente.
Arrivo così fuori dalla nostra ambasciata con un leggero anticipo e mi mescolo in mezzo ad altre persone, che attendevano pazientemente di entrare. Nessuno era in fila. Cerco quindi di capire dove mettermi e chi fosse l’ultimo, devo muovermi, chiedere ed impiegare tempo e forze mentali per capire la situazione. Qualcuno non sa, altri non ricordano.
Finalmente, dopo aver chiesto a 5 persone diverse, capisco chi sono e quando sarò sarà il mio turno.
Un carabiniere viene ad aprirci e con mezzo sorriso ci fa entrare e chiede di cosa abbiamo bisogno.
Entriamo quindi in massa dentro una piccola stanza con mura sporche ed ingiallite dal tempo e dall’umidità. Ai lati ci sono dei divanetti che non trovano alcun compagno cromatico e delle sedie da conferenza aziendale. Mi siedo cercando di rispettare la sequenza della fila. Niente da fare, tutti si siedono a caso. A tutti tocca chiedere di nuovo chi era il primo e chi era l’ultimo.
Si alzano i primi. Una presunta coppia formata da un italiano, completamente sdentato e malvestito ed un corpulenta signora di colore. Sembra che debbano fare dei documenti un po complessi. Impiegano circa un’ora solo loro. Ogni 2 minuti, lui con lo sguardo dubbioso e gli occhiali abbassati batte sul vetro dell’impiegata perché non capisce le voci dei documenti. Non ne capisce neanche una, a quanto pare.
Sono un persona molto paziente e mi curo poco dei due signori che monopolizzano il mio tempo e decido di leggere qualcosa.
Sul tavolo alla mia destra trovo un giornale “L’Italia – Stampa”. Riconosco il nome dell’autore e lo sfoglio con curiosità. E’ il giornale di un italiano che vive in Irlanda da molto tempo, penso che sia anche un giornalista. Il dubbio non mi si scioglie leggendo il giornale comunque. La pubblicazione è composta prevalentemente da pubblicità di attività italiane in Irlanda, articoli di vario genere che ci dovrebbero riguardare. Tipo: la nazionale italiana non si fa salutare dai tifosi italiani a Dublino prima della partita Italia-Irlanda. Il tutto corredato da foto di italiani che sembrano venire da altre epoche. L’articolo prosegue con moderate invettive contro questo incomprensibile divieto. Poi c’è tanto altro, irrilevante. La grafica del giornale è inguardabile, gli accostamenti di colore e l’impaginazione sono improponibili. Ho visto pubblicazioni da sagra con maggiore dignità. Mi dico: questo giornale ci dovrebbe rappresentare. Lo chiudo e lo metto di nuovo sul tavolo.
Intanto la coppia bizzarra è ancora li e lui continua a battere il suo adunco dito sul vetro per chiedere. Chiedere. Chiedere. Chiedere.
Intanto continuano ad arrivare altre persone, che sono costrette ad informarsi su chi sia il primo e l’ultimo.
Una ragazza spazientita va dal carabiniere per domandare se può tornare visto che la fila è lunga e non ha tempo. Il carabiniere le suggerisce di domandare se la facciamo passare avanti. Penso,“Sono in Italia, questa vuole fare la furba.”. Alla sua richiesta lanciata nel vuoto, nessuno si fa avanti. Sconsolata e lamentandosi se ne va. Una in meno.
Continuano ad arrivare persone, che entrano e si sottopongono al riconoscimento della testa e della coda del mostro. Intorno a me si comincia a sbuffare e gli aliti pesanti si mischiano con l’odore di muffa ed umido di quel luogo squallido e malmesso.
Ad un certo punto, qualcosa spezza la calma piatta. Un tizio con un cappotto nero entra e senza proferire parola si fionda sullo sportello vuoto. Comincia ad argomentare con l’impiegata, mentre da dietro, garbatamente, qualcuno gli fa notare che dovrebbe aspettare. “Devo solo chiedere una cosa”, sostiene. Infatti non è così, comincia a tirare fuori tutte le sue carte per farsi servire. Dopo 2 minuti è sommossa.
Tutti mormorano e qualcuno alza la voce. Un ragazzo si alza e dice all’impiegata: “Signora, questo qua è arrivato per ultimo, lo faccia tornare a posto”. Lo rimandano a posto forzatamente e dice solo una cosa giusta “Ma non ci sono i numeri…”. Nessuno gli risponde, ma tutti pensano “Ma vaffanculo va..” Sono in Italia, penso.
Comincia a fare freddino li, non mi tolgo ne sciarpa ne cappotto. Nonostante gli aliti caldi ed il calore umano della folla costretta in una stanzetta fredda, decido di preservare la mia salute tenendomi addosso tutti i miei indumenti.
Tocca a me. Faccio in due minuti e ne sono contento. Sono stato fortunato, penso.
Prima di andare via decido di passare in bagno.
Il bagno è adiacente alla sala di attesa. Qualsiasi rumore ed odore prodotto, si diffonde inesorabilmente nella sala di attesa. Fredda, gremita, polverosa e piena di anime impazienti.
Entro.
Di fronte a me ho qualcosa che ho visto solo nelle case dei miei nonni calabresi. Ambienti con l’appeal del dopoguerra e l’anima del desolato. Ma li la guerra era appena finita, qui no. Non trovo la luce e fa un freddo cane li’ dentro. Desisto. Mi avvicino quindi al water un po a tentoni. Una volta giunto davanti alla tazza, alzo lo sguardo. Le mura sono completamente ammuffite e l’intonaco è gonfio e in molte parti completamente sollevato. Dalla poca luce riesco solo a capire che sono in una stanza abbandonata a se stessa. Un luogo lurido, squallido e tremendamente freddo.
Decido di fare delle foto, poi desisto. Non sono il Gabibbo, penso, e tra poco metto piede fuori da questo posto. Cerco di lavarmi le mani ma non ci riesco. Sono innervosito ed incazzato.
Apro la porta per uscire ed un passeggino mi blocca la strada. Chiedo scusa e mi divincolo. Saluto il Carabiniere ed esco. Sono fuori e non son più in Italia.
Microcosmi italiani: L’ambasciata.
La settimana scorsa mi sono dovuto recare in ambasciata per questioni personali. Chiedo quindi un permesso alla mia azienda, affinché possa sbrigare le mie pratiche per poi tornare in ufficio in tempo debito. Qualche ora, insomma.
Mi reco così in Ambasciata, in cui mi era già capitato di andare per altre questioni di minor conto.
Dopo oltre un anno e mezzo di Irlanda, l’occhio e la mente, muniti di nuovi filtri elaborano diversamente quello che ho davanti. Questa volta, ho veramente avuto l’impressione di entrare in un microcosmo, in cui alcuni aspetti del nostro paese vengono riprodotti fedelmente. Sono cose che si notano e si evidenziano sopratutto quando lo si avverte come un fenomeno circoscritto a pochi metri quadri.
Arrivo così fuori dalla nostra ambasciata con un leggero anticipo e mi mescolo in mezzo ad altre persone, che attendevano pazientemente di entrare. Nessuno era in fila. Cerco quindi di capire dove mettermi e chi fosse l’ultimo, devo muovermi, chiedere ed impiegare tempo e forze mentali per capire la situazione. Qualcuno non sa, altri non ricordano.
Finalmente, dopo aver chiesto a 5 persone diverse, capisco chi sono e quando sarò sarà il mio turno.
Un carabiniere viene ad aprirci e con mezzo sorriso ci fa entrare e chiede di cosa abbiamo bisogno.
Entriamo quindi in massa dentro una piccola stanza con mura sporche ed ingiallite dal tempo e dall’umidità. Ai lati ci sono dei divanetti che non trovano alcun compagno cromatico e delle sedie da conferenza aziendale. Mi siedo cercando di rispettare la sequenza della fila. Niente da fare, tutti si siedono a caso. A tutti tocca chiedere di nuovo chi era il primo e chi era l’ultimo.
Si alzano i primi. Una presunta coppia formata da un italiano, completamente sdentato e malvestito ed un corpulenta signora di colore. Sembra che debbano fare dei documenti un po complessi. Impiegano circa un’ora solo loro. Ogni 2 minuti, lui con lo sguardo dubbioso e gli occhiali abbassati batte sul vetro dell’impiegata perché non capisce le voci dei documenti. Non ne capisce neanche una, a quanto pare.
Sono un persona molto paziente e mi curo poco dei due signori che monopolizzano il mio tempo e decido di leggere qualcosa.
Sul tavolo alla mia destra trovo un giornale “L’Italia – Stampa”. Riconosco il nome dell’autore e lo sfoglio con curiosità. E’ il giornale di un italiano che vive in Irlanda da molto tempo, penso che sia anche un giornalista. Il dubbio non mi si scioglie leggendo il giornale comunque. La pubblicazione è composta prevalentemente da pubblicità di attività italiane in Irlanda, articoli di vario genere che ci dovrebbero riguardare. Tipo: la nazionale italiana non si fa salutare dai tifosi italiani a Dublino prima della partita Italia-Irlanda. Il tutto corredato da foto di italiani che sembrano venire da altre epoche. L’articolo prosegue con moderate invettive contro questo incomprensibile divieto. Poi c’è tanto altro, irrilevante. La grafica del giornale è inguardabile, gli accostamenti di colore e l’impaginazione sono improponibili. Ho visto pubblicazioni da sagra con maggiore dignità. Mi dico: questo giornale ci dovrebbe rappresentare. Lo chiudo e lo metto di nuovo sul tavolo.
Intanto la coppia bizzarra è ancora li e lui continua a battere il suo adunco dito sul vetro per chiedere. Chiedere. Chiedere. Chiedere.
Intanto continuano ad arrivare altre persone, che sono costrette a chiedere chi sia il primo e l’ultimo.
Una ragazza spazientita va dal carabiniere per chiedere se può tornare visto che la fila è lunga e non ha tempo. Il carabiniere le suggerisce di domandare se la facciamo passare avanti. Penso,“Sono in Italia, questa vuole fare la furba.”. Alla sua richiesta lanciata nel vuoto, nessuno si fa avanti. Sconsolata e lamentandosi se ne va. Una in meno.
Continuano ad arrivare persone, che entrano e si sottopongono al riconoscimento della testa e della coda del mostro. Intorno a me si comincia a sbuffare e gli aliti pesanti si mischiano con l’odore di muffa ed umido di quel luogo squallido e malmesso.
Ad un certo punto, qualcosa spezza la calma piatta. Un tizio con un cappotto nero entra e senza proferire parola si fionda sullo sportello vuoto. Comincia ad argomentare con l’impiegata, mentre da dietro, garbatamente, qualcuno gli fa notare che dovrebbe aspettare. “Devo solo chiedere una cosa”, sostiene. Infatti non è così, comincia a tirare fuori tutte le sue carte per farsi servire. Dopo 2 minuti è sommossa.
Tutti mormorano e qualcuno alza la voce. Un ragazzo si alza e dice all’impiegata: “Signora, questo qua è arrivato per ultimo, lo faccia tornare a posto”. Lo rimandano a posto forzatamente e dice solo una cosa giusta “Ma non ci sono i numeri…”. Nessuno gli risponde, ma tutti pensano “ma vaffanculo va..” Sono in Italia, penso.
Comincia a fare freddino li, non mi tolgo ne sciarpa ne cappotto. Nonostante gli aliti caldi ed il calore umano della folla costretta in una stanzetta fredda, decido di preservare la mia salute tenendomi addosso tutti i vestiti.
Tocca a me. Faccio in due minuti e ne sono contento. Sono stato fortunato, penso.
Prima di andare via decido di passare in bagno.
Il bagno è adiacente alla sala di attesa. Qualsiasi rumore ed odore prodotto, si diffonde inesorabilmente nella sala di attesa. Fredda, gremita, polverosa e piena di anime impazienti.
Entro.
Di fronte a me ho qualcosa che ho visto solo nelle case dei miei nonni calabresi. Ambienti con l’appeal del dopoguerra e l’anima del desolato. Ma li la guerra era appena finita, qui no. Non trovo la luce e fa un freddo cane li’ dentro. Desisto. Mi avvicino al water un po a tentoni, utilizzando le fonti di luce come fossi un gatto. Una volta davanti alla tazza, alzo lo sguardo. Le mura sono completamente ammuffite e l’intonaco è gonfio e in molte parti completamente sollevato. Dalla poca luce riesco solo a capire che sono in una stanza abbandonata a se stessa. Un luogo lurido, squallido e tremendamente freddo.
Decido di fare delle foto, poi desisto. Non sono il Gabibbo, penso, e tra poco metto piede fuori da questo posto. Cerco di lavarmi le mani ma non ci riesco. Sono innervosito ed incazzato.
Apro la porta per uscire ed un passeggino mi blocca la strada. Chiedo scusa e mi divincolo. Saluto il Carabiniere ed esco. Sono fuori e non son più in Italia.